Nonostante un interesse per la politica simile ai loro coetanei, i giovani di origine straniera si sentono più distanti dai partiti. Cercando spazi reali di confronto – di Simona Guglielmi e Nicola Maggini

A partire dagli anni Novanta la presenza di giovani di origine straniera è notevolmente cresciuta in Italia. Oggi il Paese ospita il 13,9% dei minori stranieri dell’intera Unione europea, posizionandosi dopo la Germania (30,9%) e la Francia (15,7%). Tuttavia, il fenomeno è relativamente recente: basti pensare che nel 2001 l’Istat registrava meno di 365mila residenti sotto i 20 anni di origine straniera, di cui 140mila nati in Italia. Nel 2020, quest’ultimi erano 1,1 milioni, rappresentando il 73% del totale dei giovani di origine straniera. Il dibattito pubblico ha iniziato a rispecchiare questi cambiamenti grazie anche all’impegno di volti noti e di realtà associative come Coordinamento nazionale nuove generazioni di italiani (integrazionemigranti.gov.it), Italiani senza cittadinanza (italianisenzacittadinanza.org) e Rete G2 seconde generazioni (secondegenerazioni.it). Questi attori hanno contribuito a mettere al centro dell’agenda pubblica la necessità di riformare la legge sulla cittadinanza, tra le più restrittive d’Europa. Nonostante questa crescente visibilità, ci sono pochi dati che consentono di confrontare gli atteggiamenti e i comportamenti politici dei figli degli immigrati con il resto della popolazione giovanile. Il progetto “Maybe”, coordinato da Simona Guglielmi (Università di Milano) e finanziato da Fondazione Cariplo, rappresenta un passo avanti in questa direzione. Lo studio ha coinvolto un campione di quasi 2.800 studenti dell’ultimo anno di scuola superiore in Lombardia. Di questi, il 77,4% ha genitori nati in Italia, il 14,5% è figlio di immigrati e il 7,5% di origine “mista”, cioè ha un genitore nato in Italia e uno all’estero. Tra i figli di stranieri il 67,6% è nato in Italia e il 70,3% ha la cittadinanza italiana. In generale le seconde generazioni mostrano un livello di partecipazione politica attiva simile a quello di chi ha genitori nati in Italia: il 24% ha partecipato a manifestazioni o cortei nell’ultimo anno (rispetto al 29%).

71%

La quota di studenti di seconda generazione dell’ultimo anno della scuola superiore in Lombardia, coinvolti nel progetto “Maybe”, che dichiarano di non sentirsi vicini ad alcun partito.

I dati mostrano anche una loro maggiore presenza politica online: circa il 21% usa abitualmente i social network per condividere post su questioni politiche, rispetto al 16% dei figli di italiani. Tuttavia, a parità di altre condizioni (come tipo di scuola o classe sociale), i figli di stranieri risultano meno coinvolti dal sistema politico italiano: nonostante un interesse per la politica di poco inferiore ai figli di italiani (il 30% è interessato contro il 38% dei figli di italiani), hanno maggiori difficoltà a collocarsi sull’asse destra-sinistra (il 37% non si colloca rispetto al 18% ) e, soprattutto, non si sentono vicini ad alcun partito (addirittura il 71% contro il 54%). Inoltre, discutono meno di politica in famiglia, un’attività che è cruciale per lo sviluppo del coinvolgimento politico. La loro maggiore distanza dal sistema politico italiano è il risultato di fattori strutturali e culturali: dalla cittadinanza negata o ritardata, al mancato riconoscimento del capitale umano dei genitori, fino alle dinamiche di socializzazione politica familiare. Quest’ultima -ovvero i processi attraverso cui si apprendono norme, valori e pratiche democratiche- ha un ruolo fondamentale. Tuttavia può agire in modo differente a seconda delle origini familiari. Ad esempio, differenze marcate si osservano quando i genitori provengono da regimi politici differenti da quello italiano, non democratici, ma anche con differenti sistemi di partito/quadri ideologici. Promuovere l’inclusione politica delle nuove generazioni non significa perciò soltanto garantire diritti formali, ma anche riconoscere la pluralità delle loro esperienze e creare reali spazi di partecipazione, capaci di riflettere la realtà multiculturale dell’Italia contemporanea.

Simona Guglielmi Docente del dipartimento di Scienze sociali
e politiche dell’Università di Milano
Nicola Maggini Ricercatore di Scienze politiche dell’Università
di Bologna, membro del progetto “Maybe”